Nicola Tripodi, il culto dell’argilla in una missione del tutto originale
Una scelta scaturita dalla genuina spontaneità della passione e coltivata da autodidatta quella di lavorare l’argilla per Nicola Tripodi, ideatore di “Arghillà, l’Arte delle Terre”, con cui crea e plasma opere inedite e pregevoli.
Schiudendo a Mades le porte del suo scrigno si scopre un mondo dal fascino autentico, qualità questa che nasce e si alimenta dai primi vagiti creativi dell’artista fino ad arrivare all’oggi, al lavoro nella bottega. Una produzione di manufatti caratterizzata da notevole varietà simbolica che trova la sua fonte d’ispirazione nella storia e tradizione popolare del Sud, non soltanto della Calabria.
E così l’artista spazia da oggetti di uso comune rivisitati in chiave molto originale, maschere, personaggi fino a giungere agli stupendi teatrini e presepi. La passione per l’argilla è il primo aspetto che ci ha incuriosito e su cui ci siamo soffermati con Nicola Tripodi per conoscere il momento preciso della sua vita in cui è scattata la scintilla artistica. “La mia attività è presente sul mercato da 20 anni ma, quando ero ragazzino – precisa subito – con l’argilla ci giocavo solamente modellandola sul momento per farne pupazzi”. Questo è stato il primo impatto ma senza avere un seguito immediato che, invece, è stato tracciato da adulto riprendendo il filo di quella esperienza così spensierata.
In mezzo una importante parentesi come grafico pubblicitario tra Reggio e altre parti d’Italia, tra cui Torino. “Ma ad un certo punto – ricorda Tripodi ripercorrendo la genesi della sua attuale attività – la voglia di realizzare una creazione bidimensionale non mi bastava più, avevo altre esigenze. Analizzando me stesso ho notato che questo lavoro odierno mi avrebbe offerto maggiore soddisfazione. Inizialmente veniva svolto in casa nel tempo libero. Successivamente ho preferito aprire un laboratorio facendo quasi un salto nel buio ma credendoci con una dose di sana incoscienza”. Da qui il passo verso il significato delle opere prodotte è breve: “Desideravo esprimere in forma tridimensionale gli episodi e luoghi a me tramandati in ambito familiare quando ero piccolo usando l’argilla ma conservando i colori naturali in modo da rispettare la purezza della materia”.
L’arte è emozione. Quali sono, dunque, i sentimenti che desidera trasmettere con i suoi oggetti?
“Spero innanzitutto di comunicare la mia primordiale emozione creativa al visitatore raccontando il nostro territorio fatto di persone e luoghi per farlo conoscere anche in altre parti d’Italia e all’estero. Con le mie realizzazioni non desidero essere legato esclusivamente alla provincia di Reggio Calabria. A me piace volgere lo sguardo anche all’intera regione mediterranea, all’Area dello Stretto, a tutta la Calabria comprendendo una porzione geografica piuttosto vasta. Il mio lavoro non è incentrato sulla produzione di manufatti che ricordino la città di Reggio bensì è rivolto all’esaltazione del suo territorio e delle persone. Sono queste le emozioni che vorrei suscitare”.
Dall’osservazione delle sue creazioni appare evidente lo stile del tutto inedito con cui lei rielabora la tradizione e il vissuto. Che definizione darebbe al suo stile?
“Ero e sono alla ricerca dell’identità di questo territorio, che non è solo rappresentata da peperoncino e bergamotto in quanto credo che sia un elemento distintivo molto più vasto. Il mio obiettivo primario è proprio quello di dare una chiara fisionomia alla nostra terra di Calabria”.
Cosa l’ha colpita maggiormente della tradizione storica di usi e costumi nell’area del Mediterraneo da cui ha poi ricevuto una maggiore fonte ispiratrice?
“Mi viene in mente in questo caso la ‘Bagnarota’ come uno dei primi oggetti realizzati che esprime l’identità calabrese e, in particolare, della provincia reggina e che, tra l’altro, mi è stato richiesto in Inghilterra. L’attenzione verso il soggetto femminile ha sempre svolto un ruolo fondamentale del mio lavoro artistico così come gli oggetti rappresentativi dell’area grecanica. Attraverso i teatrini, poi, ho cercato di far rivivere i racconti popolari. Le figure con l’argilla raccontano i tratti salienti che hanno determinato una storia specifica. Tutto ciò a beneficio anche dei giovani, che hanno desiderio di conoscere le vicende della tradizione e il significato dei nomi attribuiti a episodi e personaggi”.